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Il Turismo Sociale
Il Turismo sociale è inteso come strumento di incontro e di socializzazione ed è costituito da l'insieme di attività turistiche rivolte soprattutto a categorie sociali specifiche.
Fare Turismo sociale significa rispondere ad un bisogno di socialità, è uno stile di vita, è una scelta di valore da parte degli enti che lo organizzano impegnati, anche attraverso la vacanza, nello sviluppo di legami sociali, nel creare occasioni di arricchimento culturale e di promozione e di valorizzazione delle risorse del territorio.
Sotto l´etichetta di « turismo sociale » sono indicati soprattutto i centri di vacanze destinati al turismo per famiglie. Questi centri sono dotati di strutture particolari per i portatori di handicap e per gli anziani. Si tratta di possibilità da sfruttare nell’ambito di una vacanza a budget ristretto e li troverete in prossimità dei centri turistici e delle località più interessanti.
I proventi non devono essere superiori al 66% delle spese complessive, pena la perdita della qualifica di Onlus.
Storia:
Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, la nascita dell’industria produsse trasformazioni politiche, sociali ed economiche. Nella società pre-industriale da una parte c’era chi doveva lavorare tutto il giorno; dall’altra chi poteva liberamente disporre del proprio tempo, non essendo legato a nessuna attività lavorativa perché aveva cospicue ricchezze a disposizione.
Con la Rivoluzione Industriale, con molti contadini che lasciano le campagne per lavorare nelle industrie, la separazione fisica tra luogo di produzione e luogo di residenza portò alla distinzione fra il tempo dedicato al lavoro e al tempo dedicato al riposo. L’operaio, una volta terminato il suo lavoro in fabbrica, si trovava libero da impegni e da responsabilità di lavoro. È con la nascita del tempo libero che nasce anche il turismo in senso moderno.
Nel 1800 non si può parlare di turismo sociale perché allora erano soltanto gli strati della società più ricchi a poter permettersi di viaggiare. Si comincia a parlare di turismo sociale solo quando (da anni ‘20 a ‘50) le condizioni degli operai e degli impiegati migliorarono con la sindacalizzazione e i primi contratti di lavoro che permisero a vasti strati di popolazione ad avere ferie e di utilizzare questo tempo per andare in vacanza o fare del turismo.
Il movimento operaio si sviluppa storicamente a partire dal XIX secolo in Europa e negli Stati Uniti, prende piede a seguito della rivoluzione industriale e allo sviluppo del capitalismo e della nuova borghesia imprenditoriale, con la nascita di associazioni e organizzazioni di operai volte alla conquista di miglioramenti nelle condizioni di lavoro. Le associazioni si pongono generalmente l'obiettivo di migliorare, attraverso lotte sociali e riforme, i salari ed in generale le condizioni di vita, attraverso, la riduzione dell'orario lavorativo, la tutela del lavoro minorile e femminile.
Nella prima metà del XIX secolo si registrò una consistente diffusione delle ferrovie, circostanza che estese a un gran numero di persone la possibilità di viaggiare.
Il tempo libero da una parte, la possibilità di usufruire di un mezzo di trasporto dall’altra permisero lo sviluppo di attività turistiche a sempre nuovi soggetti e non solo ai nobili e all’alta borghesia ma anche alla borghesia emergente (imprenditori, dirigenti d’azienda, funzionari dello Stato, e così via…).
A metà del secolo nacquero in Europa le agenzie di viaggi. La prima agenzia italiana fu fondata da Massimiliano Chiari nel 1878. Il turismo determinò lo sviluppo delle infrastrutture alberghiere, come la creazione di alberghi, pensioni, locande, ristoranti, trattorie e di attività commerciali e imprenditoriali di supporto per il turista.
Le Associazioni senza scopo di lucro che operano nel turismoONLUS "Organizzazione non lucrativa di utilità sociale"
Possiamo definire un’associazione come un insieme di persone che perseguono un fine comune, non di tipo economico però, e che quindi a tale scopo creano un’organizzazione più o meno complessa. Di associazioni ce ne sono di infinite, perché gli interessi, i bisogni che spingono le persone ad unire le proprie forze sono i più disparati: associazioni sportive, culturali, sindacali, religiose, ecc.
Un considerevole numero di associazioni opera anche nel turismo in modo continuativo, naturalmente con varie finalità ed ambiti d’intervento: alcune organizzano viaggi, altre gestiscono strutture ricettive, altre ancora perseguono l’obiettivo di sviluppare un particolare aspetto del turismo, e così via. Si pensi, ad esempio, al Touring Club Italiano, all’Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù, che gestisce ostelli e altri centri di sosta per favorire il turismo giovanile, alla Federcampeggio, al Centro Turistico Studentesco e Giovanile, ma anche ad associazioni che si occupano più indirettamente di turismo, come quello ambientaliste e quelle del tempo libero.
L’associazionismo ricopre un ruolo di primo piano nel turismo. Se non altro perché rappresenta un valido sostegno al così detto Turismo Sociale, vale a dire alla domanda di vacanza proveniente dai cittadini a basso reddito, come i giovani e gli anziani. Vale la pena ricordare che l’UE riconosce il turismo quale diritto irreversibile di tutti i cittadini europei. La legge quadro n. 135/2001 all’art. 1 elenca gli interventi pubblici previsti a favore del turismo ed fondamentale, per il turismo sociale, è l’art. 6 dove istituisce il fondo di rotazione per il prestito e il risparmio turistico. Questo ha lo scopo di erogare prestiti a tassi agevolati a chi ha redditi bassi, così da permettersi di acquistare pacchetti vacanza preferibilmente in periodi in bassa stagione, in modo da andare incontro anche alle esigenze del settore che potrà destagionalizzare i flussi e valorizzare le aree depresse.
Tutto questo, purtroppo, non esclude che l’associazionismo possa, in certi casi, rappresentare un’occasione per esercitare in forma abusiva attività economiche di tipo turistico, ossia un modo per aggirare la normativa (relativa agli aspetti amministrativi e tributari) che controlla l’attività delle imprese turistiche. Forme di abusivismo si verificano, ad esempio, quando le iniziative turistiche di un’associazione sono, almeno tendenzialmente, aperte a tutti e non solo agli associati, oppure sono offerte a prezzi molto più elevati dei costi necessari più o meno ingenti.
Il D. Lgs. 111/95, agli art. 3 e 4, specifica molto chiaramente che le associazioni possono svolgere le stesse attività delle agenzie di viaggio, vale a dire che possono sia organizzare in modo completo un viaggio sia vendere viaggi già confezionati.
L’aspetto qualificante, però, era che le associazioni dovevano riservare le proprie attività turistiche agli associati e non rivolgerle al mercato e all’insieme dei consumatori/turisti. L’intento di tale disposizione era chiara: evitare i pericoli di concorrenza illecita fra le attività esercitate dagli imprenditori regolarmente autorizzati (gli albergatori, le agenzie di viaggio, ecc.) e quelle permesse alle associazioni. Ma è altrettanto evidente che era facilmente aggirabile: bastava che una persona decidesse d’associarsi al momento di aderire ad un’iniziativa turistica messa in piedi da un’associazione.
Per questo alcune Regioni, perché la competenza è loro, hanno stabilito un periodo minimo d’iscrizione per usufruire dei servizi offerti dalle associazioni, mentre le altre hanno previsto per le associazioni, che svolgono in modo continuativo attività turistiche per gli associati, l’obbligo d’iscrizione in un apposito albo.
Le Strutture per l’ospitalità collettiva: case per ferie, ostelli, rifugi
Le case per ferie e gli ostelli sono strutture ricettive tradizionalmente destinate a soddisfare le esigenze del turismo sociale.
Le case per ferie si caratterizzano per essere alloggi attrezzati “per il soggiorno di persone o gruppi e gestiti, al di fuori dei normali canali commerciali, da enti pubblici, associazioni o enti religiosi operanti senza fine di lucro per il conseguimento di finalità sociali, culturali, assistenziali, religiose o sportive, nonché da enti o aziende per il soggiorno dei propri dipendenti e loro familiari”(art.6 della legge n. 217).
Gli ostelli si qualificano per essere strutture attrezzate per il soggiorno e il pernottamento dei giovani.
Spetta alle leggi regionali stabilire la disciplina amministrativa di entrambi i tipi di alloggio. In genere, le leggi regionali prevedono per l’esercizio dell’attività ricettiva un’autorizzazione del Comune dove è ubicata la struttura.
Non hanno una classificazione ufficiale. Devono però possedere dei requisiti minimi per avviare l’attività, relativi ad esempio alle dimensioni dei locali, ai servizi igienici, all’arredamento delle camere, alla sicurezza della struttura, ecc.; nonché disporre di attrezzature per il pronto soccorso, telefono per gli ospiti e altre donazioni minime.
Ciò che accomuna queste due forme di ricettività è che la gestione è affidata ad associazioni senza scopo di lucro, quindi sono prive del carattere d’impresa e la loro attività può svolgersi esclusivamente in ambito associativo, a favore degli iscritti, con le libertà previste per le associazioni.
Va aggiunto che gli ostelli possono anche essere gestiti in forma imprenditoriale. In tal caso l’autorizzazione ad iniziare l’attività ricettiva è subordinata all’iscrizione al registro delle imprese presso le Camere di commercio, industria e artigianato.
I prezzi possono essere decisi liberamente ma allo scopo di renderli trasparenti, devono essere comunicati alle Regioni o agli enti da queste delegati: Comune e Provincia. La comunicazione deve essere fatta due volte all’anno, entro il 1° marzo e il 1° ottobre, e riguarda sia i prezzi massimi che quelli minimi. Devono essere rispettati.
Le tariffe praticate devono essere esposte in modo ben visibile in luoghi accessibili alla clientela (reception).
Inoltre hanno l’obbligo di identificare e registrare gli ospiti. I gestori dell’esercizio ricettivo possono dare alloggio solo alle persone munite di carta d’identità o documento idoneo mentre per gli stranieri extracomunitari è sufficiente l’esibizione del passaporto o altro documento con fotografia del titolare. Devono far sottoscrivere al cliente una scheda di dichiarazione delle generalità e consegnarla entro 24ore all’autorità locale di pubblica sicurezza.
Non c’è responsabilità per i beni che gli ospitati portano nella struttura.
I rifugi alpini consistono in locali idonei ad offrire ospitalità in zone montane di alta quota, fuori dai centri urbani. Possono essere gestiti da soggetti pubblici, in particolare dal CAI (Club Alpino Italiano), da associazioni che operano nel settore dell’alpinismo oppure privati in forma imprenditoriale. In ogni caso, l’esercizio dell’attività è subordinato all’autorizzazione rilasciata dal Comune. Qualora l’ospitalità offerta dai rifugi sia ricollegabile ad attività d’impresa, la condizione essenziale per il rilascio dell’autorizzazione è l’iscrizione al registro delle imprese.
Altri obblighi amministrativi sono: la comunicazione dei prezzi agli enti preposti e la comunicazione delle presenze.
Non è prevista una classificazione ufficiale. Occorre però che la struttura disponga di attrezzature idonee per il ricovero e il pernottamento degli ospiti. Il rifugio deve disporre di locali di fortuna sempre aperti e di servizi igienici. Se si tratta di rifugi non custoditi, né gestiti in forma imprenditoriale , non si estende il regime di responsabilità per i beni dei turisti, perché in tal caso manca un operatore che può prendersi cura della sorveglianza generale.
Percorso tematico:
Karl Marx: filosofo, critico dell’economia politica e rivoluzionario comunista
Turismo Sociale: aspetto storico, ONLUS e strutture ricettive per la collettività
Giustizia Sociale: carico tributario
Pier Paolo Pasolini, Neorealismo
George Orwell – Nineteen Eighty-four
La Vita e il Lavoro del Proletariato attraverso la Pittura
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