Msn 2010  
 

» Geek

» Tool Online

» Webmaster

 


Arte proletaria




Giuseppe Pellizza

(Volpedo, Alessandria, 28 luglio 1868 – 14 giugno 1907), pittore italiano, dapprima divisionista, poi esponente della corrente sociale.

Figlio di contadini, frequentò la scuola tecnica di Castelnuovo Scrivia dove apprese i primi rudimenti del disegno. Grazie alle conoscenze ottenute con la commercializzazione dei loro prodotti, i Pellizza entrarono in contatto con i fratelli Grubicy che ne promossero l'iscrizione all'Accademia di Belle Arti di Brera.
Contemporaneamente ricevette lezione private dal pittore Giuseppe Puricelli e successivamente divenne allievo di Pio Sanquirico.

 


Terminati gli studi milanesi, Pellizza decise di proseguire il tirocinio formativo, recandosi a Roma, dapprima all'Accademia di San Luca poi alla scuola libera di nudo all'Accademia di Francia a Villa Medici.
Deluso da Roma, abbandonò la città prima del previsto per recarsi a Firenze, dove frequentò l'Accademia di Belle Arti con Giovanni Fattori come maestro.
Alla fine dell'anno accademico ritorna a Volpedo, allo scopo di dedicarsi alla pittura dal vero attraverso lo studio della natura. Non ritenendosi soddisfatto della preparazione raggiunta, si recò a Bergamo, dove all'Accademia Carrara seguì i corsi privati di Cesare Tallone.
Nel 1899 visitò Parigi in occasione dell'Esposizione Universale.
Frequentò poi l'Accademia Ligustica di Belle Arti a Genova.
Al termine di quest’ultimo tirocinio, ritornò al paese natale, dove sposò una contadina del luogo, Teresa Bidone, nel 1892. Da quello stesso anno, cominciò ad aggiungere "da Volpedo" alla propria firma.
Il pittore in questi anni abbandona progressivamente la pittura ad impasto per adottare il divisionismo. Nel 1891 espose alla Triennale di Milano, facendosi conoscere al grande pubblico. Continuò a esporre in giro per l'Italia.
Tornato a Firenze nel 1893, vi frequentò l'Istituto di Studi Superiori, visitò poi Roma e Napoli.
Nel 1901 portò a termine “Il Quarto Stato”, a cui aveva dedicato dieci anni di studi e fatica. L'opera, esposta l'anno successivo alla Quadriennale di Torino, non ottenne il riconoscimento sperato, anzi scatenò polemiche e sconcerto presso molti dei suoi amici. Deluso, finì per abbandonare i rapporti con molti letterati e artisti dell'epoca, con i quali già da tempo intratteneva fitti rapporti epistolari.
Morto nel frattempo Segantini, nel 1904 Pellizza intraprese un viaggio in Engandina, luogo segantiano, al fine di riflettere maggiormente sulle motivazioni e sull'ispirazione del pittore da lui considerato suo maestro.
Nel 1906, grazie alla sempre maggiore circolazione delle sue opere in esposizioni nazionali e internazionali, fu chiamato a Roma, dove riuscì a vendere un'opera perfino allo Stato: ‘’Il sole’’, destinato alla Galleria di Arte Moderna.
Sembrava l'inizio di un nuovo periodo favorevole, in cui finalmente l'ambiente artistico e letterario riconosceva i temi delle sue opere. Ma l'improvvisa morte della moglie, nel 1907, gettò l'artista in una profonda crisi depressiva. Il 14 giugno dello stesso anno, non ancora quarantenne, si suicidò impiccandosi nel suo studio di Volpedo.

 

Il Quarto Stato

Olio su tela 285x543 cm, 1910
Milano, Civica Galleria d'Arte Moderna

Il quarto stato rappresenta una marcia di lavoratori in sciopero: due uomini ed una donna con un bambino in braccio precedono il fronte compatto dei loro compagni. Si tratta di contadini, ma Pellizza non volle caratterizzarli ponendo loro in mano gli attrezzi agricoli e scompaiono pure i riferimenti paesistici in quanto l'artista tendeva all'eliminazione del superfluo. La stessa essenzialità la si ritrova nei personaggi; nessun gesto scomposto o violento, nessun atteggiamento che non sia dignitoso: gli scioperanti avanzano a passo sicuro, verso la conquista dei propri diritti e la costruzione del proprio futuro. Pellizza evita dunque sia la descrizione compiaciuta delle miserie, sia l'enfasi trionfalistica.
In questo dipinto l'autore intese "simboleggiare le grandi conquiste che i veri lavoratori andavano facendo nel mondo attuale" e dedicò l'opera alla riscossa dei lavoratori . Nel 1891 cominciò a preparare studi e bozzetti per una prima redazione del quadro terminata poi nel 1901.
La classe lavoratrice conscia della propria dignità e della propria forza, marcia compatta e solidale, solenne e inarrestabile da farla parere un potente fiume in piena.
Le tonalità calde prendono il sopravvento e la massa dei lavoratori acquista una monumentalità e consapevolezza.
E’ evidente che Pellizza non intendeva rappresentare esclusivamente una scena, sia pure molto importante, della vita sociale del proprio tempo, vale a dire un momento di sciopero e di protesta. Vi compaiono, infatti, delle figure che avanzano verso la piena luce, mentre sullo sfondo campeggia un tramonto: è chiara l’allegoria sociale del popolo che avanza verso un futuro radioso, lasciandosi alle spalle l’età dell’oppressione. Il tema era già stato trattato più volte e continuamente rielaborato da Pellizza, a partire dal 1891, con Ambasciatori della fame, attraverso Fiumana, completata nel 1896, e il bozzetto preparatorio del Quarto stato del 1898, Il cammino dei lavoratori, secondo il titolo inizialmente prescelto, ed era andato ampliandosi ed approfondendosi durante questo percorso, di pari passo con l’evoluzione artistica del soggetto.

 

Honoré Daumier

(Marseille, 26 febbraio 1808 - Valmondois, 11 febbraio 1879) è un artista molto singolare del panorama artistico francese. Il suo interesse iniziale è per la litografia, tecnica di incisione adatta alla diffusione a stampa. Come incisore Daumier iniziò, nel 1831, la sua attività collaborando alla rivista satirica francese «La Caricature». Per questo giornale produceva vignette satiriche, sperimentando in senso espressivo la deformazione caricaturale. La sua attività di caricaturista gli procurò notevoli guai giudiziari, finendo condannato ed imprigionato in più occasioni, determinando, in alcuni casi, anche la chiusura dei giornali per i quali collaborava. Conseguenza, tutto ciò, della profonda carica espressiva e di denuncia sociale e di costume sempre presente nelle sue opere. Dal 1860, ad oltre cinquant’anni, iniziò la sua attività di pittore. Ed anche in questa attività sono presenti quegli elementi caratteristici della sua attività di incisore: il tratto molto inciso e netto, la deformazione espressionistica, la satira di costume tipico della caricatura.

Il Vagone di Terza Classe

Olio su tela 65x90 cm, 1862
New York,  Metropolitan Museum of Art

Il quadro dà la visione dell’interno di una carrozza ferroviaria di terza classe delle strade ferrate francesi. Il vagone è affollato e questa organizzazione dello spazio permette al pittore di realizzare un ritratto plurimo.
La presenza del Treno è significativa  perché è forse la più importante invenzione del secolo. Di solito, colleghi artisti, raffigurano i convogli dall’esterno o le stazioni ma Daumier è invece interessato all’umanità che viaggia in quella carrozza.

L’effetto di affollamento e di profondità è dato dalla successione dei volti delle persone raggruppati tra loro e sempre più piccoli a mano a mano che ci si allontana dal primo piano e questi effetti non sono sminuiti affatto dalle pareti, dal tetto né dalle porte della carrozza per la loro definizione sommaria.

Daumier rappresenta la scena come se la vedesse dalla panca di fronte a quella delle donne in primo piano. I viaggiatori, stipati sui loro sedili, per lo più estranei fra loro, sono vestiti poveramente con abiti chiari o scuri dai colori spenti e costretti ad una penosa promiscuità. Molto inciso è il tratto delle due donne in primo piano proprio per rivelarci quello che delle due donne vuole farci sapere. Si assomigliano, specie il naso e nelle arcate sopraccigliari. La giovane tiene il bambino e la vecchia il cestino, entrambe hanno corpi robusti e si presume siano madre e figlia. Quello che colpisce maggiormente, nella anziana signora, è lo sguardo. Lo sguardo stanco, come se fissasse la persona che guarda la pittura e gli rivolgesse un leggero sorriso.

La luce non è abbondante né diffusa. Le figure sono illuminate da sinistra e dai vetri degli sportelli solamente nella parte sinistra e si nota il contrasto tra chiaro/scuro che però non dà alla scena carattere molto drammatico. L’artista vuole raffigurare la realtà senza attenuazioni e senza enfasi.

 

 

Vincent Willem van Gogh

(Groot-Zundert, 30 marzo 1853 - Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) - Pittore olandese tanto geniale quanto incompreso, dipinse una grande quantità di quadri divenuti famosi solo dopo la sua morte suicida. Celebri i suoi paesaggi, i fiori (come non ricordare i girasoli) e gli autoritratti. Un museo a lui dedicato, il Van Gogh Museum, si trova ad Amsterdam.

Famiglia di pastori protestanti: primo di sei fratelli, dopo la morte del primogenito della famiglia, che portava il suo stesso nome, e che morì alla nascita esattamente un anno prima di lui; Vincent ricorderà sempre la tomba dietro casa, su cui trovava iscritto il suo stesso nome. Vincent ha un'infanzia turbata, anche a causa dell'apprensione dei genitori, e la sua vita è un cammino di insuccessi esistenziali e sociali. Nel 1857 nasce il fratello Theodorus, chiamato Theo, che avrà una grande importanza nella sua vita.

 

Frequenta prima la scuola del paese poi il collegio dove impara il francese, l'inglese e il tedesco e apprende l'arte del disegno. Nel 1869 inizia a lavorare in una bottega d'arte all'Aja di suo zio Vincent; passa il tempo libero leggendo molto e visitando musei, inizia una corrispondenza con il fratello Theo e trascorre le vacanze dai genitori al paese natale. Gli anni che seguono segnano per Van Gogh un continuo viaggio da una filiale all'altra della bottega d'arte dello zio, trasferimenti che lo porteranno a Bruxelles, Londra e Parigi.

 

Nel 1876 lascia il lavoro e parte per un paese vicino a Londra, dove lavora come insegnante. Successivamente diviene anche aiuto predicatore e vorrebbe dedicare la sua vita alla religione ma i genitori non glielo permettono.
Lo zio Vincent gli trova così un altro lavoro come commesso in una libreria di Dordrecht. Vive da solo e frequenta la chiesa locale traducendo passi della Bibbia; convince il padre a lasciarlo frequentare una scuola per predicatore ma, non essendo ritenuto idoneo all'insegnamento, deve interrompere gli studi diventati per lui troppo pesanti.
Nonostante tutto, nel 1879 lavora come predicatore laico nelle miniere di carbone a Wasmes, nel Borinage, dove realizza i primi schizzi raffiguranti minatori all'opera. Vive in estrema povertà ed è turbato dalle condizioni in cui si trovano i minatori, che aiuta per come può; questo però infastidisce i suoi superiori che lo licenziano, ritenendolo ancora una volta inadatto e privo di talento.
Van Gogh prosegue la sua vocazione senza ricevere compenso: vive in grandi ristrettezze ma continua a leggere molto e a disegnare; in questo periodo avranno inizio le sue crisi che gli segneranno il futuro.
Il fratello Theo lo critica per come conduce la sua vita e Vincent interrompe i rapporti con lui per poi riprenderli solo un anno dopo.

Vincent va a Bruxelles aiutato finanziariamente e moralmente dal fratello e frequenta la scuola d'arte, dove fa conoscenza con diversi pittori. In questo periodo realizza copie di opere di Jean-François Millet.
Nel 1881 si innamora della cugina Kate, vedova da poco tempo e con un figlio, senza però esserne corrisposto. Ad una sua richiesta di matrimonio lei lo rifiuta non ricevendolo in casa. Disperato, Van Gogh si brucia una mano con la fiamma di una lampada, cercando di dimostrare l'intensità del suo amore. Riparte per l’Aja ma anche lì ha poca fortuna.

 

In questo periodo, Vincent conosce una prostituta e lavandaia alcolizzata va a vivere con lei e col figlio. Vorrebbe sposarla ma la famiglia lo dissuade e la lascia dopo un anno. La sua salute peggiora.
Allestisce un atelier in uno stabile accanto alla casa parrocchiale del padre che muore per un colpo apoplettico il 26 marzo 1885 dove dipinge “I mangiatori di patate”.

L'anno successivo Van Gogh si ammala gravemente per denutrizione e a causa del forte tabagismo.
A Parigi fa amicizia con Paul Gauguin, con il quale (1887) costituisce, insieme a Henri de Toulouse-Lautrec e ad Emile Bernard, il gruppo cosiddetto dei Pittori del Petite-Boulevard, per distinguersi da quello dei Pittori del Grand-Boulevard (Claude Monet, Alfred Sisley, Camille Pissarro, Edgar Degas, Georges-Pierre Seurat) che esponevano nella galleria di Theo.

L'anno successivo lascia Parigi trasferendosi ad Arles dove sarà raggiunto da Gauguin. Nella città francese dipinge, fra gli altri, alcuni dei suoi principali capolavori, caratterizzati da luminosi colori carichi di vitalità.
È durante la permanenza ad Arles che avviene uno degli episodi più controversi e drammatici della vita di Van Gogh. La notte del 23 dicembre il pittore, dopo un'aggressione ai danni di Gauguin (che fugge spaventato) si taglia la parte inferiore dell'orecchio sinistro, la incarta e la porta in un bordello per farne regalo ad una prostituta alla quale si era affezionato. Viene ricoverato in ospedale con la diagnosi di epilessia, alcolismo e schizofrenia. Dipinge il celebre Autoritratto con orecchio bendato.
Da quel momento, Van Gogh avrà sempre più frequentemente crisi di allucinazione e sarà a più riprese ricoverato, anche spontaneamente, per malattie mentali in un ospedale nei pressi di Saint-Rémy-de-Provence. Dopo l'ultima crisi si stabilisce nel maggio 1890 ad Auvers-sur-Olse.
Il 27 luglio del 1890 si presenta alla coppia proprietaria della locanda in cui vive. Sta molto male e confessa di essersi sparato un colpo di rivoltella in un campo accanto al cimitero nei pressi di Auvers-sur-Oise mentre dipingeva la sua ultima opera. Morirà il 29 luglio e verrà sepolto il giorno dopo in quello stesso cimitero. Al funerale parteciperanno il fratello Theo, il dottor Gachet e molti amici artisti; la bara è ricoperta di girasoli. Pochi mesi dopo, il 25 gennaio 1891, muore anche il fratello Theo.

 

Genialità - follia

Quando si parla di Van Gogh, si parla anche della dicotomia genio-follia; indicando in quest'ultima il motore della pittura originale, unica dell'artista. Sono mille le ipotesi di malattia, tutte diagnosticate a posteriori: chi prende spunto dalla biografia, parla di un incrudelirsi della malattia venerea, o addirittura di una possibile ereditarietà dal padre di sifilide, oppure di schizofrenia, depressione,etc. Chi prende spunto dalla sua arte, vede nei suoi quadri spiraleggianti delle caratteristiche comuni a mille altri pazienti affetti da malattie degenerative del cervello. Con i mezzi attuali, ogni supposizione è possibile, perciò nessuna è unica e veritiera. Ciò che è permesso dire, è che l'arte di Van Gogh è illuminante, e la sua figura, magra piccola e solitaria nella carne, si staglia in realtà gigantesca e poderosa nella storia dell'arte e dei sentimenti umani.

 

I mangiatori di patate

Olio su tela 82 x 115 cm, 1885
Museo Van Gogh, Amsterdam.

Si tratta del dipinto più importante del periodo olandese di Vincent, prima del suo trasferimento a Parigi.
In una misera capanna, dallo spazio angusto e spoglio, siedono cinque persone di età diverse: la famiglia contadina riunita nel momento del pasto serale.
La luce instabile di una lampada mette in evidenza i volti angolosi e le mani nodose, mostrando i segni delle fatiche quotidiane.

In questo Van Gogh vuole risaltare la situazione economico-sociale di quel tempo.
Gli operai tornavano stanchi dal lavoro e si riunivano per dividere la cena, che in questo caso è composta da delle semplici patate.
I colori tristi riflettono la povertà e la semplicità di quella famiglia tanto comuni a quel tempo.

In una povera capanna cinque contadini stanno consumando il loro pasto frugale composto di patate fumanti e di bollente caffè nero, immersi in una oscurità appena rischiarata dal lume di una lampada a petrolio. Le loro mani nodose che hanno vangato il terreno, seminato e raccolto le stesse patate che essi mangiano, i loro volti individuati da piani spigolosi, scavati dalla fatica e dalla rassegnazione, sono gli elementi essenziali del dipinto. I colori terrosi e pastosi si limitano all’ocra, al marrone e al verde cupo e sono così simili, quanto a gradazioni, da dar l’impressione di un dipinto monocromo.
La semplice armonia dell’interno, con la messa a nudo della povertà, se non addirittura della miseria, mostrano un Van Gogh compassionevole e disposto ad affrontare i temi sociali più impressionanti, pronto a descrivere pittoricamente la vita aspra e dura dei contadini così come, un tempo, aveva condiviso le fatiche e la sorte dei minatori. Lo stesso dipinto, infatti, rifletteva secondo l’artista un criterio di bellezza aderente al soggetto trattato. E Vincent scriveva al fratello Theo. “Un contadino è più vero coi suoi abiti di fustagno tra i campi, che quando va a Messa la domenica con una sorta di abito della società.[…]”

Precedentemente il 1886, anno in cui giunse a Parigi e dove conobbe l’arte, gli artisti e le tecniche da cui si fece trascinare con il neoespressionismo e le teorie della percezione del colore, Van Gogh era legato alla cromia densa e buia (tonalità di colore in pittura) stesa a larghe spatolate e dai soggetti realistico-sociali, legati alle condizioni dei diseredati (I mangiatori di patate, 1885).

 

Gustave Courbet

Il maestro del realismo ottocentesco europeo
(Ornans, 10 giugno 1819 - Tour-de-Peilz, 31 dicembre 1877) è il pittore francese che per primo usò il realismo pittorico in funzione polemica nei confronti della società del tempo. La sua attività di artista iniziò intorno al 1840 a Parigi con opere di ispirazione romantica. La svolta realista avvenne intorno al 1848 anno in cui, con la rivoluzione di febbraio, la Francia proclamò la seconda repubblica. Da quel momento Courbet iniziò a realizzare quadri di grandi dimensioni con figure monumentali ma che rappresentavano persone comuni prese in situazioni del tutto ordinarie.

Sintetizzano il pensiero di Courbet sull’arte queste sue affermazioni: "Ho studiato l’arte degli antichi e quella dei moderni. Non ho voluto né imitare gli uni, né copiare gli altri. Ho voluto essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere; fare dell’arte viva, questo è il mio scopo".

Del 1855 è un’altra delle sue tele più famose: «L’atelier». Del 1857 è il quadro «Le fanciulle in riva alla Senna» in cui due ragazze di vita vengono ritratte in una posa di stanca rilassatezza, in riva al fiume, protette dall’ombra bassa di un albero.

Nel 1870 il pittore partecipò all’esperienza della Comune di Parigi, di cui fu delegato per le Belle Arti, e per questo motivo, nel 1873, fu arrestato e condannato a sei mesi di prigione. Si rifugiò in Svizzera dove morì di idropisia nel 1877 circa un mese dopo che tutte le sue opere erano state messe all'asta e disperse dal governo francese.

 

Gli Spaccapietre

Olio su tela, 45x55 cm, 1849
Già Dresda, Gemäldegalerie.

È una delle opere che meglio sintetizza la scelta sia poetica sia stilistica di Courbet.

I due personaggi raffigurati sono due lavoratori dediti ad un lavoro rude e pesante. Lavorano in una cava di pietra spaccando la roccia con la sola forza fisica. Dei due uno è più anziano, è piegato su un ginocchio per spaccare i massi e Courbet lo raffigura di profilo. L’altro, più giovane, è intento a trasportare le pietre e viene raffigurato di spalle. Fa da sfondo alla scena il fianco di una montagna che occupa tutto l’orizzonte. Si intravede solo un po’ di cielo in alto a destra. Le due figure sembrano inserite quasi nel fianco del monte. Il lavoro impone loro di vedere solo le pietre senza nemmeno poter alzare lo sguardo al cielo. Hanno volti inespressivi. Il lavoro che fanno è povero ed è una povertà non solo materiale ma anche interiore. Tutta la scena esprime una condizione di abbrutimento psicologico oltre che materiale.

Courbet è cinico e crudo nel rappresentare questa scena. Non gli dà alcuna intonazione lirica per esprimere la nobiltà di un lavoro che, seppure modesto, è comunque un momento di nobilitazione. Denuncia, invece, con un linguaggio obiettivo la reale situazione sociale dei lavoratori. Questo contenuto di polemica sociale era ovviamente poco accettabile dall’ordinario pubblico dell’arte, fatta soprattutto di persone ricche che, quindi, mal sopportavano la rappresentazione della povertà che era, implicitamente, un atto di accusa nei loro confronti. I poveri sono tali per consentire ai ricchi di essere ricchi: questo, in sintesi, l’atto di accusa dei quadri di Courbet.

Manca un equilibrio compositivo preciso. Un asse orizzontale non c’è, dato che manca la linea di orizzonte. L’asse verticale risulta troppo decentrato a destra: esso, infatti, passa chiaramente per il punto in cui l’uomo inginocchiato sta per colpire il masso con il suo arnese di lavoro. Non c’è neppure una simmetria tra le due figure. Esse, infatti, sono collocate ed orientate in maniera del tutto casuale, senza equilibrare con le loro masse la composizione del quadro.

Questa mancanza di esteticità canonica finiva per accentuare ulteriormente l’intento di Courbet: egli non vuole assolutamente proporre un’arte che trova nella bellezza una facile funzione consolatoria ma vuole proporre documenti visivi che creano lo shock della verità. Ma ciò che costituisce lo scandalo della sua pittura è che lui propone questi documenti etnografici nel campo dell’arte. Nel campo di un’attività che, secondo la mentalità ufficiale e borghese dell’Ottocento, era destinata solo alla bellezza, alla grandezza, ai fatti eroici ed aulici, ai grandi avvenimenti storici, ai grandi personaggi del passato e del presente. Courbet pretende invece di imporre la sua povera gente a persone che certo non trovavano valido vedere immortalati uomini e donne considerate a loro inferiori: lavoratori, servi, prostitute, emarginati e reietti della società.

Coubert rinnega i modi tradizionali di idealizzare il corpo umano (arte classica), né la tela presenta l’idealizzazione e la tipizzazione delle Spigolatrici di Millet che trascendono la specifica realtà.
Jean-François Millet

Pittore francese
Nacque il 4 ottobre del 1814 nel villaggio di Gruchy in Normandia da una famiglia benestante di agricoltori istruiti.
Pur lavorando nei campi fin da ragazzino anch’egli ebbe una buona istruzione: studiò il latino e si appassionò alla letteratura, una passione che lo accompagnerà per tutta la vita. Il suo talento per il disegno si rivelò sin dall'infanzia e nel 1833 studiò presso un ritrattista nella vicina Cherbourg e dopo due anni passò nello studio di un altro pittore.
Nel 1837 si reca a Parigi per continuare gli studi con l'aiuto di una borsa di studio e si iscrisse all'École des Beaux-Arts ma la lasciò nel 1839.
L'anno successivo tornò a Cherbourg dove nel novembre 1841 Millet si sposò con Pauline-Virginie Ono, figlia di un sarto e si stabilì con lei a Parigi, ma morì per tubercolosi a soli ventitré anni.
Tornato a Cherbourg, conobbe una domestica di diciotto anni e ne divenne l'amante.
Si sposarono con rito civile nel 1853 ed ebbero nove figli. Nel 1845 si stabiliscono per un breve periodo a Le Havre e poi a Parigi.
Non riuscendo ad affermarsi con i ritratti, passò a dipingere scene di carattere idilliaco, mitologico e pastorale, allora assai in voga.
Nel 1847 ebbe il suo primo riconoscimento al Salon (la massima mostra artistica annuale della Francia).
La carriera di Millet ebbe una svolta improvvisa nel 1848 quando si dedica ad un nuovo tema "la vita contadina" che gli darà la fama internazionale; infatti nello stesso anno espose al Salon il dipinto Il vagliatore, che coglieva perfettamente lo spirito del tempo.
In seguito con la famiglia si trasferisce a Barbizon insieme ad altri pittori, tra cui Thédore Rousseau che lo aiutò finanziariamente ed anche nell'insegnamento di alcune tecniche pittoriche.
Nel 1867 le sue opere furono esposte all'Exposition Universelle di Parigi e l'anno successivo fu nominato cavaliere della Legion d'Onore.
Alla fine del 1873 Millet si ammalò gravemente e da allora lavorò molto poco.
Morì a Barbizon il 20 gennaio 1875, all'età di sessant’anni, e fu sepolto nel vicino villaggio di Chailly, accanto al suo grande amico Thédore Rousseau.

 

Le Spigolatrici

Olio su tela 83,5 x 110 cm, 1857
Parigi, Musée d'Orsay

Questo dipinto raffigura tre contadine intente a raccogliere le spighe rimaste nei campi dopo la mietitura.
Il dipinto fu prima screditato e poi osannato dalla classe dirigente francese e le opinioni su di esso continuano ad essere contrastanti.
Quando fu esposto al Salon nel 1857, epoca in cui alla classe contadina era stato appena riconosciuto il diritto di voto e per questo era vista come forza rivoluzionaria, venne considerato "pericoloso".
Già nel 1914 era però diventato un simbolo del patriottismo francese ed utilizzato come manifesto per invogliare all'arruolamento.
All'orizzonte, le voluminose colline di grano dorato, il carretto carico di fieno ed i gruppi di contadini che sollevano i covoni creano uno sfondo pittoresco alle donne in primo piano.

Atteggiamenti malinconici – raccoglimento introspettivo

La figura del contadino non appartiene più ad una data regione ma ha un significato più ampio.
L’uomo legato alla sua terra, rapporto diretto ed impegnativo con la natura.

 

Fernand Léger

(Argentan, 4 febbraio 1881 - Gif-sur-Yvette, 17 agosto 1955) pittore - comunista.
Figlio di contadini normanni, nel 1900 si trasferì a Parigi, dove lavorò in uno studio di architettura e studiò alla Scuola di arti decorative.
Nel 1911 presentò al Salon des Indépendants alcune opere vicine al cubismo, ottenendo pesanti critiche.
Socialista fin da ragazzo, era uno dei rari artisti del Novecento a credere con fiducia nella forza libertaria del lavoro. Anzi, l’unico capace di scrivere al compagno Stalin, che odiava gli artisti, spezzando una lancia a favore dell’arte moderna.
Il suo stile mutò molte volte: si ispirò dapprima a Paul Cézanne, poi ai fauves, infine, dopo aver conosciuto Georges Braque e Pablo Picasso, si avvicinò al cubismo.
La sua rilettura del cubismo è caratterizzata dal particolare ritmo delle linee e delle superfici colorate, libere dagli elementi figurativi e dallo spazio del dipinto, che cessa di essere lo specchio della realtà per arrivare ad una propria dimensione autonoma.
La verosimiglianza non è più il criterio fondamentale, l'artista colloca liberamente le forme e i colori secondo la propria sensibilità interiore.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Léger fu richiamato alle armi e a Verdun rimase intossicato dai gas.
Durante la convalescenza si riavvicinò al cubismo e si interessò al mondo delle industrie e del lavoro.
In queste opere la presenza umana lascia spazio alle macchine, frutto del lavoro dell'uomo e della tecnologia e simbolo della civiltà del nuovo secolo.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale, Léger si occupò di pittura, composizioni murali, arazzi, mosaici, sculture, ceramiche e collaborò a spettacoli teatrali e ad un film d'animazione.
Nel 1945 si iscrisse al Partito Comunista Francese non per emulazione del suo amico Picasso ma seguendo i propri ideali.
Nel secondo dopoguerra Léger si dedicò ai cicli intitolati "I costruttori" e "Il circo".
Morì a Gif-sur-Yvette il 17 agosto 1955.

 

Les Constructeurs

Olio su tela 300x228 cm, 1950
Donazione di Nadia Léger e Georges Bauquier nel 1969
Musée National Fernand Léger - Biot

Serie di dieci quadri realizzati tra il 1950 e il 1951.

Come operaio, il pittore ha lavorato sull'argomento dei costruttori: "Quando ho costruito i costruttori, non ho fatto una concessione plastica. Stavo andando, come ogni sera, a Chevreuse in automobile ed è sulla strada, che questa idea mi ha preso... Ho voluto rendere questo: il contrasto tra l'uomo e le sue invenzioni, tra l'operaio e tutte queste architetture metalliche, questo ferro, queste ferraglie, questi bulloni, questi rivetti.

Le nuvole le ho poste tecnicamente, ma giocano per contrasto..." Fatto uno schizzo così sul vivo, e poi con un gran numero di studi preliminari dopo, il pittore tornò ad un argomento più realistico, un soggetto-pretesto, per un'arte diretta rivolta innanzitutto ai lavoratori.
La serie dei costruttori, composta da molti studi e una decina di quadri, annunciano Les Constructeurs, la versione definitiva. Giocando sulle false prospettive ed i colori, organizza un spazio quadrettato con le travi innalzate all'infinito.

Due movimenti animano la composizione: al primo piano quello della corda ed in fondo al quadro quello delle nuvole. Elemento insolito, il ceppo di bosco, sembra uscire dal quadro e ricorda l'importanza della natura e degli alberi nell'iconografia di Léger. Gli operai costruttori, come degli acrobati, sfidano le leggi dell'equilibrio.

L'opera accompagnata dai disegni preparatori, è stata presentata alla Casa del Pensiero Francese nel 1951. Impaziente di conoscere il sentimento delle lavoratori che si trovavano faccia a faccia con la sua opera, appende per alcuni giorni “Les Constructeurs” nella mensa delle fabbriche Renault: "Ho portato les constructeurs alle fabbriche Renault e sono stati collocati in una mensa. A mezzogiorno, i ragazzi sono arrivati... le mie tele sembravano a loro strane. Io li ascoltavo ed ingoiavo tristemente la mia zuppa. Otto giorni più tardi sono ritornato a mangiare alla mensa. L'atmosfera era cambiata.... Chissà, le tele li incuriosivano?... Un ragazzo mi disse: Vedrete, loro si accorgono dei miei compagni (riferiti ai quadri), ma quando si saranno tolte le vostre tele, quando avranno il muro tutto nudo davanti, si renderanno conto di quel che sono i vostri colori"... "Questo fa piacere,davvero!".

 

 

Musée du Louvre

Le musée du Louvre est le plus important musée parisien et est situé au cœur de la ville de Paris, entre la rive droite de la Seine et la rue de Rivoli. Le bâtiment est un ancien palais royal. La cour centrale est aujourd'hui occupé par la pyramide de verre que est aussi la entrée de le musée. C'est l'un des plus anciens musées et le troisième plus grand au monde. Le Louvre possède une longue histoire de conservation artistique et historique de la France et des autres civilisations.
Le château Royal du Louvre a été fondé par Philippe II vers la fin du XIIe siècle et on a vécu beaucoup de changements. Mais en 1793, pendant la Révolution Française, que le Palais du Louvre était transformé dans le Musée du Louvre.
Le Louvre attire millions des personnes tous les ans merci les milliers de peintures, sculptures et œuvres différentes. La plus célèbre œuvre du monde est la "Mona Lisa". Nombreuses sont les œuvres d'artistes internationaux comme Renoir, Rembrandt, David et Leonardo DaVinci. Autres œuvres très importantes sont le "Nike" de Samothrace et la "Venus" de Milo.



Percorso tematico:


Karl Marx: filosofo, critico dell’economia politica e rivoluzionario comunista

Turismo Sociale: aspetto storico, ONLUS e strutture ricettive per la collettività

Giustizia Sociale: carico tributario

Pier Paolo Pasolini, Neorealismo

George Orwell – Nineteen Eighty-four

La Vita e il Lavoro del Proletariato attraverso la Pittura